La settimana scorsa ero a Roma, a facilitare un Capitolo Generale per una congregazione religiosa maschile.
Democrazia: spunti di riflessione provenienti dal mondo delle congregazioni religiose
Le congregazioni religiose sono un tipo di organizzazione molto interessante. Per molti versi – e nonostante tutte le fantasie e proiezioni che possiamo avere sul fatto che siano molto gerarchiche e autoritarie – le congregazioni sono uno dei sistemi più democratici ancora in circolazione, dopo diversi secoli.
Il fondamento della loro struttura democratica è che il Capitolo Generale è la massima autorità decisionale in questo tipo di organizzazione. Esso è composto da ‘membri semplici’, più della metà dei quali sono stati eletti dai loro pari per partecipare al Capitolo – un evento che avviene di solito ogni 6 anni e dura circa 3-4 settimane. I membri rimanenti (sempre meno numerosi degli eletti), sono chiamati ex officio – sono membri di diritto perché sono stati nominati a ruoli di leadership nella congregazione.
A grandi linee, un Capitolo Generale stabilisce gli orientamenti strategici chiave per la congregazione nei prossimi 6 anni, decide su eventuali cambiamenti da apportare alle sue Costituzioni (il testo canonico che regola la vita di ogni congregazione) ed elegge il team di leadership per implementare gli orientamenti presi. Fermiamoci un momento per apprezzare la profondità di questa pratica democratica: il “popolo” stabilisce la strategia principale dei 6 anni successivi; il “popolo” scrive e riscrive la legge; e il “popolo” elegge il suo gruppo dirigente, il cui compito sarà quello di attuare la strategia decisa dal Capitolo, e che dovrà rendere conto al prossimo Capitolo Generale di come ha attuato efficacemente tale strategia.
Crisi della democrazia
Nonostante questo forte principio democratico alla base del loro funzionamento, anche le congregazioni religiose stanno attraversando una ‘crisi della democrazia’: un crescendo di comportamenti individualistici (faccio quello che voglio dove mi trovo, indipendentemente dalla strategia o dalle politiche della congregazione); una perdita di fiducia nella rilevanza degli orientamenti strategici individuati in un evento che avviene solo ogni 6 anni, quando il mondo intorno a noi continua a cambiare in modo esponenziale ogni mese. Infine, una lotta dei leader per trovare nuovi modi di esercitare la loro autorità in un modo che favorisca la partecipazione attiva, in bilico tra vecchi modelli di approccio autoritario, dall’alto verso il basso, e un approccio non interventista, laisser-faire, che ricorrentemente non riesce ad affrontare le disfunzioni organizzative e umane.
La congregazione che ho accompagnato per due settimane ha attraversato la propria versione di questa crisi. Per loro, si è trattato di una perdita particolare di fiducia negli orientamenti decisi in Capitolo, che ha indebolito l’impegno organizzativo dei suoi membri. Per dirla in un altro modo, i Capitoli, in passato, hanno avuto la tendenza a riunire grandi menti, che pensavano a questioni complesse ed elaboravano strategie brillanti – ma che nessuno attuava sul campo, perché i membri sentivano che quei piani erano troppo lontani dalla loro realtà e dalle loro preoccupazioni quotidiane.
Purtroppo, a causa di diverse altre situazioni critiche che questa congregazione sta affrontando (diminuzione dei membri, invecchiamento, sostenibilità finanziaria, cura degli anziani, formazione e sostegno dei giovani…), non c’è stato mai, fino ad ora, il bisogno forte di trovare una strategia per il futuro. Ora si trovano di fronte ad un dilemma: come cogliere l’opportunità di discernere un modo trasformativo per il futuro, ma farlo in un modo nel quale il resto dell’organizzazione senta di potersi impegnare?
Dalle soluzioni agli scenari
Un anno fa li ho invitati ad utilizzare un approccio diverso, chiamato ‘Transformative Scenario process’. Esso si è basato sul famoso approccio che Adam Kahane sta sviluppando dai primi anni novanta, in paesi socialmente tormentati come il Sudafrica e il Guatemala.
L’approccio che abbiamo sviluppato con questa congregazione invitava tutti i suoi membri a contribuire a co-creare scenari di futuri possibili per la loro congregazione, che avrebbero offerto immagini di come potrebbe apparire la congregazione una volta avvenuta la trasformazione intorno a delle questioni chiave fondamentali..
La costruzione di scenari è molto diversa dall’envisioning. Non si tratta di sognare come potrebbe essere un futuro migliore, né di esprimere le nostre più alte aspirazioni e valori. Si tratta piuttosto di un processo di pianificazione molto strutturato, che inizia con la valutazione dello stato attuale dell’organizzazione e del suo ambiente, identificando le sfide e le opportunità, nonché le tendenze emergenti che possiamo già percepire. Su questa base, si invitano le persone ad accedere alla propria creatività nell’immaginare come l’organizzazione, tra 5-8 anni, avrà risolto le sue sfide principali, e come apparirà il risultato.
L’invito è quello di costruire diversi scenari – di nuovo, in contrasto con i processi di envisioning che tendono a cercare la convergenza verso ‘una’ visione. E testare questi scenari, per vedere se sono davvero futuri ‘possibili’ o solo futuri ‘desiderati’.
Invitando a creare diversi scenari e insistendo sul fatto che essi riguardino tutte le sfide che l’organizzazione deve affrontare (non solo quelle che si adattano alla visione di un futuro desiderato), si realizza il difficile compito di permettere a diverse visioni, prospettive, aspirazioni, di trovare un luogo di ascolto; e allo stesso tempo si offrono criteri abbastanza obiettivi (le sfide e le opportunità nominate all’inizio del processo) rispetto ai quali testare la fattibilità degli scenari proposti per il futuro.
Impegno rinvigorito
Negli ultimi 6 mesi questi religiosi sono stati molto impegnati in conversazioni profonde e generative in tutto il mondo (grazie Zoom!), con confratelli con cui raramente hanno avuto modo di parlare – alcuni dei quali non avevano mai incontrato. Africani, indiani, europei, americani; vecchi e giovani; membri in pensione e attivi: improvvisamente tutte queste persone si sono impegnate in sessioni di Zoom per immaginare insieme la propria organizzazione nel futuro.
Il risultato della ricerca si è concretizzato in un lavoro creativo. Hanno creato circa 80 copertine di libri: un inizio di scenario, ossia solo un titolo e 3 o 4 punti chiave, per dare un assaggio di ciò che viene proposto. Poi li hanno sviluppati in 28 scenari, fondendo insieme quelle idee di ‘book-cover’ che sembravano andare nella stessa direzione.
Utilizzando solamente Zoom, un terzo della congregazione (250 membri su 750) è diventato molto attivo, espandendosi poi in conversazioni al di fuori di Zoom, con confratelli che non partecipavano alle sessioni di Zoom, ma il cui interesse continuava a crescere.
Per Natale, però, la domanda è diventata: cosa facciamo con tutti questi 28 scenari? Chi decide quale/i teniamo e quali buttiamo via?
Rigenerare la democrazia
Un mese dopo abbiamo aperto il Capitolo Generale e 40 uomini sono venuti a Roma proprio con questa domanda in mente. In gioco non c’era solo il successo della metodologia “Scenario Process”, ma anche la credibilità di questo approccio appena sperimentato di coinvolgere tutti i membri nel governare il destino della loro congregazione, piuttosto che lasciare che un piccolo gruppo di membri eletti continui a farlo.
Ma un capitolo ha le sue regole, alcune delle quali sono stabilite dal diritto canonico. Ci si deve “fidare della saggezza del gruppo” di capitolari, contando sul fatto che hanno partecipato al processo degli scenari e quindi dovrebbero avere un buon quadro di ciò che i loro confratelli hanno detto? O dobbiamo inceve trovare il modo di integrare le voci – e la volontà – del resto dell’organizzazione su una questione così cruciale?
Un confratello della commissione di facilitazione ha dato un suggerimento: ora che siamo tutti così pratici nel riunirci su Zoom, che ne dici di tenere una sessione di Zoom con i confratelli al di fuori del Capitolo che vorrebbero contribuire la loro idea di ciò che il processo di Scenario ha raggiunto e come dovremmo andare avanti con esso? In altre parole, che ne dici di aprire le porte del Capitolo e lasciare che chiunque lo desideri venga a condividere la sua prospettiva?
Per analogia, è come aprire le porte del Parlamento e permettere a qualsiasi cittadino che lo desideri di venire a condividere la sua prospettiva su come il paese dovrebbe andare avanti sulle sue questioni più critiche…
Come ho detto prima, il Capitolo è il massimo organo decisionale in una congregazione. Quindi una tale decisione di alterare il modo di operare doveva essere sottoposta al Capitolo, perché decidesse. È interessante notare che una tale innovazione è stata accolta da reazioni simili a quelle che incontra qualsiasi innovazione profonda: un misto di puro entusiasmo da parte di taluni, di necessità di tempo per integrarla per altri, e di resistenze da parte di altri ancora.
Ma dopo un giro di dialogo generativo, il Capitolo ha deciso di andare avanti, di rischiare, di innovare. E poi sono successe tre cose:
– Quando sono rientrati nella sala plenaria del centro conferenze, dopo aver trascorso un’ora nelle sale di breakout Zoom con confratelli dai quattro angoli del mondo, un nuovo tipo di energia ha letteralmente spazzato la stanza. Quegli uomini che il giorno prima erano stati dubbiosi e a volte morosi alla prospettiva di sentire di nuovo ciò che pensavano di aver sentito prima, sono tornati altamente energizzati da conversazioni molto profonde.
– Abbiamo poi effettivamente ascoltato, in questo luogo solitamente riservato a pochi eletti, le voci di centinaia di uomini che hanno condiviso alcune meravigliose pepite di saggezza e creatività
– Gli uomini là fuori, che per soli 60 minuti avevano preso parte al Capitolo, stavano ora chiaramente rivendicando questo Capitolo come loro, e possedendo il suo risultato, qualunque esso fosse
La vita crea le condizioni per più vita
Questa esperienza ha avuto un effetto così positivo su tutti che la settimana seguente il Capitolo ha deciso di ripeterla, questa volta su un tema ancora più simbolico: l’elezione del nuovo gruppo dirigente della Congregazione.
Di nuovo, storicamente (e di fatto legalmente, attraverso il diritto canonico), il diritto di eleggere la nuova squadra è sempre stato nelle mani dei soli Capitolari. Pur rispettando questa fondamentale procedura canonica, l’innovazione questa volta è consistita nel tenere sessioni di Zoom con confratelli di tutta la congregazione, invitandoli a condividere la loro prospettiva sul tipo di leadership di cui la congregazione ha bisogno in questo momento della sua storia – non offrendo nomi come tali, ma competenze, capacità, qualità.
Di nuovo, l’energia nella sala capitolare dopo quei secondi giri di conversazione zoom è stata fenomenale – così come la saggezza portata nella stanza, in grande coerenza e convergenza con le riflessioni che avevano avuto luogo nel periodo precedente a quelle chiamate zoom.
Per esempio, uno dei temi con cui il Capitolo è entrato in contatto era stata l’importanza di onorare, e persino di far leva, sulla diversità presente nell’organizzazione. In perfetta eco a ciò, alcuni confratelli su Zoom hanno esortato i capitolari ad allontanarsi da un team di leadership “male, pale and stale” (maschile, pallido e stantio) e ad abbracciare la diversità di età e continenti nel formare il loro prossimo team.
Mentre tutti lasciavamo Roma, c’era la sensazione condivisa che era stato sperimentato qualcosa di completamente nuovo, ma qualcosa che sembrava dare a tutti un senso di rinnovata energia, e di maggiore connessione al loro scopo primario, alla loro missione primaria nel mondo. Qualcosa che noi chiamiamo Rigenerazione.