Leadership, perdono, rigenerazione
"Il perdono libera l'anima, elimina la paura. Ecco perché è un'arma così potente". Nelson Mandela
Sono ritornata oggi da un laboratorio di 4 giorni, “Mon Leadership Incarné”, nel quale ho accompagnato un gruppo di donne alla scoperta di sé e della propria leadership, attraverso un lavoro che si fa sul corpo, sulla cognizione, sulle emozioni ma anche sullo spirito, in immersione nella natura.
Durante il laboratorio ogni partecipante esplora se stessa, in relazione ai propri ruoli ed alle proprie organizzazioni e comunità di appartenenza, in connessione con il al contesto esterno. L’obiettivo è quello di potersi connettere alla sua fonte di energia, a come questa si manifesta nel mondo (comportamenti) ed agli impatti che poi effettivamente riesce a produrre, per poter lavorare sul suo empowerment.
Il lab comincia con una riflessione sulla storia professionale e personale, sulle motivazioni dietro gli alti e bassi, prosegue con il lavoro su più livelli (corpo, spirito, emozioni), sul proprio presente e su come in maniera più o meno efficace si riesce a prendere la propria leadership. Viene in seguito proposta un’apertura sul futuro attraverso un esercizio molto profondo di discernimento intorno ad una domanda, ad un problema, ad una situazione, ad una decisione che la persona deve prendere, per poi finire con una giornata di messa a terra attraverso un kit di diversi tools. Rispetto a questo gruppo di donne ciò che mi ha colpito di questo laboratorio è stato l’emergere di un tema comune, che sento molto vicino personalmente in questo momento, il tema del perdono.
Una delle partecipanti, che chiamerò Sara, ha raccontato la storia che segue, durante le prime sessioni del lab, dedicate alla rilettura del passato a partire dal presente. Circa cinque anni fa la sua organizzazione di appartenenza ha deciso una trasformazione significativa, della governance e dei processi, che ha impattato il suo ruolo non necessariamente nella direzione da lei sperata, spingendola a cambiare paese, dover imparare una nuova lingua ed a prendere responsabilità che non considerava necessariamente nella sua traiettoria di sviluppo. Ai tempi si è adeguata alle richieste ed oggi si trova in una situazione che le piace, facendo attività che la fanno sentire allineata sia al purpose organizzativo che al suo purpose personale. Durante il laboratorio, in particolare durante questa prima fase di rilettura, qualcosa dal passato è però riemersa e si è resa conto che è come se un nodo di rancore e ruminazione l’accompagnasse e fosse ancora presente per lei impedendole di sentirsi pienamente soddisfatta, realizzata, in grado di usare tutto il suo potenziale. L’importante insight che ha avuto è che questo nodo riguarda il cambiamento del passato, non tanto nel suo contenuto e per le conseguenze che esso ha avuto per lei, quanto per il modo nel quale è stato gestito da colei che allora era la sua superiore gerarchica. Il problema di Sara è che ritiene che la comunicazione di questo cambiamento sia avvenuta in modo violento, burocratico, senza nessuna empatia e rispetto per le conseguenze che avrebbe avuto sulla sua vita personale e professionale. Una comunicazione che è avvenuta in modo scarno, veloce, senza possibilità di replica; non di negoziazione, Sara si rende ben conto che non c’erano molti spazi per negoziare: quello che avrebbe voluto sarebbe stato poter avere l’ascolto della sua responsabile, poter almeno dirle quanto la decisione presa fosse pesante per lei. Se analizziamo questa storia ci sono alcuni elementi chiave che emergono:
- Il fatto di non poter trovare uno spazio di dialogo nel passato produce in Sara un rancore che non si spegne, una ruminazione che continua negli anni; penso che molti e molte di noi potranno riconoscere questo sentimento: si rivive la propria rabbia ripensando a quella cosa che qualcuno ha fatto causando la nostra sofferenza.
- Il tempo non ha guarito nulla, anzi nel momento attuale la ferita si riapre ed il dolore sentito è intatto, il peso continua ad essere presente e portato;
- Il dolore è venuto, nel passato, dalla mancanza di empatia percepita, rispetto alla decisione che era stata presa (molto meno dalla decisione stessa che si è poi rivelata essere portatrice di buone cose per Sara). Nessun tentativo di dialogo è stato intrapreso, Sara era molto arrabbiata e triste per questo comportamento al punto da non considerare la possibilità di aprire uno spazio di conversazione con la sua responsabile;
- Il suo giudizio su come è stata trattata nel passato non è cambiato, il comportamento della responsabile viene ancora vissuto come ingiusto; Sara non giustifica ciò che è successo, non ne nega la gravità e non minimizza;
Durante il laboratorio Sara ha avuto un insight molto potente sul fatto che questo episodio del passato le sta impedendo nel presente di provare piacere a prendere la leadership nel suo ruolo attuale. Avendo avuto un modello negativo teme di ripetere gli errori e non riesce a prendere pienamente il suo ruolo, che ora le richiede in effetti di sentirsi in responsabilità, di ispirare, di sentirsi connessa con gli altri. Durante uno dei momenti di debriefing il gruppo le ha suggerito la parola “perdono” ed il suo viso si è illuminato. Il processo di “letting go” è cominciato?
Il perdono avviene a partire da una decisione, che permette di elaborare la rabbia verso un'altra persona che ha deliberatamente fatto qualcosa di ingiusto o dannoso contro di noi. Dire che parte da una decisione non significa dire che sia qualcosa di solo cognitivo. Sara aveva già cercato razionalmente di vedere le ragioni della sua responsabile e di dirsi che in fondo non era grave. Quello che fino ad ora non era ancora successo era il passaggio attraverso quella che nella teoria U è l’apertura del cuore, che è essenziale perché il “letting go” possa realizzarsi.
Perdonare non significa negare o peggio finire per approvare o scusare quello che ci è stato fatto, che comunque resta, il passato non si cambia. Significa invece riconoscere ed accettare che qualcuno ci ha causato dolore, sofferenza, ci ha prodotto una ferita. E che possiamo lasciare andare questo dolore, sofferenza, ferita, perché il peso che stiamo portando invade il nostro spazio di creatività, di vitalità, di energia.
Il perdono non significa necessariamente riconciliazione anzi questa idea può giustamente allontanarci dal perdonare. Perché lo spazio della riconciliazione si apra l’altra parte deve anch’essa riconoscere che ci ha fatto male; la riconciliazione a volte non è possibile, l’altra persona può essere per esempio morta (penso al perdono di situazioni familiari che ci hanno causato ferite difficilmente guaribili) o non essere cambiata e costituire ancora una minaccia per noi.
Perdonare significa invece aprire uno spazio per poter portare l’altra parte dentro di sé, uno spazio di empatia nel quale, senza scusare, riusciamo a trasformare i sentimenti negativi che abbiamo provato, lasciando andare il peso portato, accettando di correre il rischio che nelle relazioni si può sbagliare.
Sara non riusciva ad autorizzarsi a prendere la sua leadership nel ruolo attuale. Non so cosa farà nel futuro prossimo, anche se la sua intenzione chiara, in uscita dal laboratorio è quella di avere una conversazione chiarificatrice, non necessariamente riconciliatrice, (il perdono può essere ‘one way’) di lasciare andare il passato, lasciando spazio ad un futuro nel quale lei stessa e le persone intorno a lei potranno rigenerare le loro relazioni, permettendo alla vita di scorrere di nuovo all’interno del gruppo.