Molte organizzazioni sono impegnate, ormai da anni, nella promozione di una cultura dell’inclusività, che garantisca a tutte le persone equità di trattamento, di diritti, di possibilità di appartenere. Ma come aumentare le possibilità che, fin dal loro ingresso in azienda, le nuove leve siano allineate e contributrici rispetto a questo impegno? È questa la domanda che ci è stata rivolta dall’HR di una multinazionale, nell’articolo vi raccontiamo come abbiamo risposto.
Da un po’ di anni abbiamo messo a punto un modello semplice ma efficace per la promozione e la gestione della leadership inclusiva. Il modello consiste di quattro aree di comportamento, suddivise in due fattori per ogni area, ciascun fattore descritto in profondità da degli indicatori specifici di comportamento, per aiutare l’osservazione pratica. Il modello è stato messo a punto in anni di lavoro sul terreno, sul tema della DE&I all’interno di organizzazioni molto diverse tra loro e di letture ed approfondimenti intorno a questo soggetto. È stato prevalentemente utilizzato per sensibilizzare collaboratori e collaboratrici ed accompagnare il ciclo di performance management; si presenta come uno standard che richiede poi, naturalmente, di essere adattato e contestualizzato attraverso alcuni indicatori specifici.
La domanda in questo caso però non riguardava la prestazione dei collaboratori e collaboratrici già presenti, ma la possibilità di aprire una finestra sul futuro di eventuali newcomer, in particolare attraverso sessioni di assesment center, aventi l’obiettivo di sondare, tra gli altri talenti, il potenziale di leadership inclusiva. Dopo una prima fase di chiarimento degli obiettivi insieme al cliente, abbiamo creato una batteria di esercizi e di griglie di osservazione con descrittori ad hoc, alla quale ha fatto seguito una giornata di formazione e sperimentazione del modello insieme agli assessors interni, seguita da una prova dei materiali su di un gruppo vero di otto ingegneri ed ingegnere durante l’assesment center, una delle fasi del processo di recruitment. Il modello è stato validato all’unanimità, con qualche aggiustamento. Abbiamo raccolto i feedback sulla sperimentazione, riadattato il modello (in particolare sul bisogno di avere un maggior numero di indicatori di comportamento sulle quattro aree della competenza per facilitare il lavoro di chi valuta) e riproposto una giornata di formazione sul tema ad un altro gruppo di assessors interni (che hanno sperimentato anche il modello in prima persona e che saranno i prossimi ad utilizzarlo) per una validazione finale.
È chiaro che per avere una validazione definitiva del modello occorrerà attendere la verifica sul campo. In particolare, dopo un numero di utilizzazioni in assesment che sia significativo, occorreranno osservazioni sull’attualizzazione del potenziale della competenza, una volta che i newcomer scelti anche in base questo parametro, saranno entrati in ruolo. E per andare più lontano ci sarebbe bisogno di un gruppo di controllo per avere una verifica rigorosa. Se siete in una posizione HR e interessati o interessate alla sperimentazione, parliamone 😉!
Il progetto ha portato, per ora, almeno due risultati “collaterali” molto interessanti:
- Il primo è che i e le manager coinvolte si sono ritrovate non nell’ormai classico corso di sensibilizzazione alla diversity o agli unconscious bias, ma in una situazione nella quale la sensibilizzazione aveva l’obiettivo di supportare un ruolo particolare per loro, quello di persone all’ingresso della frontiera organizzativa, decisori su chi entra e chi no. E’ stata l’occasione per dialogare insieme sui modelli culturali dell’azienda e su quanto questi possano agire in profondità poi rispetto alle scelte che vengono fatte, le quali, a loro volta, impattano le performance ed anche sulle proprie architetture decisionali, sulla decisione individuale ed in gruppo. Una occasione, insomma, per formarsi in maniera profonda senza averne l’aria, che le persone presenti hanno trovato appassionante.
- La reazione dei giovani coinvolti nell’assesment mi ha molto colpita. Nella parte di lavoro dedicata alla batteria d’esercizi sulla leadership inclusiva il clima nel gruppo è cambiato radicalmente. Sorprendentemente si è installata un’atmosfera più che da assessment center da dialogo intorno al caminetto. I e le partecipanti, più che ad una competizione sembravano piuttosto partecipare ad un gruppo collaborativo, nel quale l’obiettivo era aiutarsi reciprocamente, darsi feedback, creare legami. I ritorni che hanno dato sull’esperienza sono stati molto positivi. In un’epoca di grande difficoltà a trovare talenti, e rispetto alle richieste esplicite o implicite che la generazione Millennial rivolge ai luoghi di lavoro (coerenza, gestione delle diversità, equità, rispetto per l’equilibrio vita professionale/vita personale, possibilità di espressione il più possibile autentica del sé, calore nei legami etc), il messaggio che si riceve nel contatto con l’organizzazione è importante. Un’azienda attenta alla dimensione di cittadinanza organizzativa, di appartenenza, che mostra concretamente questa attenzione fin dalle prime fasi di contatto vedrà la sua reputazione accresciuta e, forse, diventerà un luogo al quale le giovani generazioni (e non solo) guardano come ad un luogo capace di (ri)accendere il desiderio e rigenerare una relazione al lavoro che da qualche anno sta perdendo, in generale, potere attrattivo.