Com’è allettante desiderare solo la primavera, o l’estate: le giornate che si allungano, le piante che crescono, la natura che fiorisce. Così allettante che spesso dimentichiamo che negli ecosistemi ci può essere vita solo se c’è anche morte.

 

Allo stesso modo, nelle organizzazioni in cui lavoriamo, si è tentati di concentrarsi sulle buone relazioni; di conservare una certa armonia nel gruppo; di evitare i conflitti. Di nuovo, questo è dimenticare che le relazioni umane, specialmente sul lavoro, non possono essere solo armoniose; che i conflitti fanno parte della relazione. E andrei anche oltre: che i conflitti possono avere una funzione positiva, necessaria, vivificante nelle relazioni – che non è giusto assegnare loro solo una dimensione negativa.

 

Ecco una rapida spiegazione…

 

In un organizzazione che accompagno, Thierry, che ha iniziato la sua carriera in azienda 25 anni fa, ricopre ora il ruolo di senior manager del reparto vendite . È di gran lunga il collaboratore più longevo, anche se non ha mai veramente sfondato nella sua carriera. A poco a poco però, è riuscito a costruirsi un mondo generatore di piacere: lunghe pause pranzo, importanti rimborsi spese, fissare i suoi obiettivi annuali retrospettivamente, battute sessiste, ecc. Nel corso degli anni nessuno dei suoi manager lo ha veramente sfidato, per diversi motivi:

– Thierry è un ‘smooth talker’, sa come perorare la sua causa e ha sempre una buona scusa

– Le sue mancanze sono, ovviamente, riprovevoli e potrebbero – anzi dovrebbero – portare ad un richiamo, un avvertimento o addirittura ad una sorta di sanzione da parte della sua linea manageriale; ma nessuna di esse, di per sé, è così grave. È piuttosto il loro effetto cumulativo che diventa problematico

– Thierry è molto amico del rappresentante sindacale del dipartimento, che non esiterebbe a reagire se sentisse che Thierry è stato maltrattato.

 

Quindi nessuno ha richiamato Thierry finora. La paura del conflitto, tra l’altro, ha finora paralizzato i suoi dirigenti, che hanno preferito mantenere l’armonia nel gruppo. Se non fosse che…

 

Se non fosse che l’armonia è solo superficiale; perché le persone che lavorano con lui non si lasciano ingannare, e vedono che Thierry non rispetta le regole che loro, invece, sono tenuti a rispettare – e alle quali aderiscono per il buon funzionamento del gruppo. E sotto la patina di armonia, cova in realtà un forte risentimento.

 

Il conflitto con Thierry, in questa situazione, sarebbe portatore di vitalità, non distruttivo. O più precisamente: rendere esplicito il conflitto – e poi ovviamente lavorare per risolverlo – sarebbe vivificante, perché per il momento il conflitto esiste, ma in modo implicito, non riconosciuto e non elaborato. È creato da una persona che infrange le regole, sfidando i confini collettivi; non sfidarla di ritorno non è evitare il conflitto, è evitare di lavorare attraverso il conflitto. Lavorare attraverso il conflitto – lavorare per una trasformazione che riporti gli attori organizzativi all’interno dei confini del collettivo – è riportare la vita nel sistema, perché significa riportare la fiducia nel collettivo, nelle regole che ci siamo dati e nei valori che le sostengono; significa mostrare che il sistema è capace di regolarsi da solo, di ritrovare il suo equilibrio.

 

Dal punto di vista delle teorie organizzative, affrontare il conflitto sfidando Thierry è ciò che Agyris e Schon chiamerebbero ridurre il divario tra i valori dichiarati. Questo divario è mortifero nelle organizzazioni, mentre il loro allineamento è una fonte di significato, fiducia e quindi motivazione.

 

Da un punto di vista psicodinamico, potremmo dire che l’eccessivo investimento dei manager di Thierry nel rimanere l”oggetto buono’, cioè il manager che è apprezzato e amato – perché non fa le onde e non mi impedisce di fare ciò che voglio! – hanno permesso che questa disfunzione prendesse piede. In altre parole, il loro rifiuto di assumere il ruolo di ‘oggetto cattivo’ – quello che interferisce con la ricerca egocentrica della mia felicità – è corresponsabile, insieme a Thierry, della stagnazione di questa situazione disfunzionale.

 

Da un punto di vista ecosistemico, e più specificamente, con riferimento al nostro modello dei 6 principi di Rigenerazione, è il ciclo della morte che non è stato ben gestito qui. Sia continuando a permettere all’energia di alimentare un comportamento che doveva morire (Principio #1 del modello); ma anche perché questo comportamento era un attacco alla vita (Principio #3), che i loro manager avrebbero dovuto cercare di ridurre per preservare la dinamica rigenerativa dell’organizzazione.

 

Un anno fa Marc, il nuovo GM del dipartimento, ha deciso di affrontare direttamente il comportamento di Thierry; gli ha dato tre mesi per rimettere tutto in ordine: le spese, le pause, le battute sessiste e tutto il resto. Gli altri membri dell’équipe hanno tirato un sospiro di sollievo. Thierry si è poi messo in malattia, apparentemente troppo scioccato dal comportamento del suo capo.

 

Marc è un esperto di teorie organizzative? Di psicodinamica dei gruppi? Del funzionamento degli ecosistemi naturali e dello slancio rigenerativo che li attraversa?

Non che lui sappia; per lui è una questione di buon senso: quando un gruppo si dà delle regole, e una persona le infrange regolarmente nel corso degli anni, spetta alla persona il cui ruolo è investito di autorità nel sistema, di sanzionarla.

 

E questa è forse la morale di questa storia: volendo evitare di “ferire” le persone, o creare tensioni, tutti i manager precedenti di Thierry hanno solo costruito le basi di una situazione molto più traumatica oggi. L’autorità, e l’esercizio di tale autorità nel proprio ruolo, non è qualcosa di abusivo, al contrario – è ciò che regola la vita. Nascondersi da essa, con il pretesto di evitare di ferire gli altri, significa gettare le basi per un esito molto più violento, più doloroso.

La natura lo sa: non investe energia in ciò che deve morire.