“The only gift is a portion of thyself.” Ralph Waldo Emerson

Per il bias di questa settimana abbiamo scelto di restare nella leggerezza e giocosità delle feste appena passate e su un tema che ci appassiona: il bias di genere ed in particolare i comportamenti che rischiano di rinforzarlo fin dall’infanzia.

Poco prima di Natale stavo lavorando in un percorso webinar con un gruppo di donne manager, di età e provenienze diverse, intorno agli stereotipi di genere. Dialogando sul tema insieme già da un po’ di tempo, abbiamo avuto modo di esplorarne origini, impatti sulla vita professionale e sulla carriera, rischi, strumenti per neutralizzarli etc., non si trattava quindi di un gruppo nuovo alla riflessione su questi argomenti. Avevo appena terminato un libro molto interessante, in realtà letto per prepararmi su un altro progetto, per un gruppo di insegnanti “Le manuel qui dezyngue les stereotypes” di Nathalie Anton, uscito alla fine dell’anno in Francia presso Eyrolles. Verso la metà del libro l’autrice propone uno strumento divertente, che lei stessa definisce caricaturale, ed ho avuto l’intuizione che potesse servire per giocare con il tema insieme al mio gruppo. Così, in piena atmosfera pre-natalizia, l’ho usato come esercizio di warming up, l’ho chiamato usando l’espressione francese “Cadeau empoisonné?” (che si potrebbe tradurre con “Regalo avvelenato?”)

Ve lo riporto integralmente:

Avete già regalato o state per regalare uno di questi articoli A una bambina A un bambino
Vascello spaziale
Bambola
Veicolo di costruzione tipo scavatrice o trattore
Tegamini
Camion dei pompieri o macchina della polizia
Pista per automobiline
Travestimento da principessa
Spada/pistola
Maquillage
Diario intimo
Elicottero, nave

Vi invito a riempire la tabella, come hanno fatto le mie partecipanti all’inizio del webinar e poi a rispondere alle domande dell’ultima parte del post.

Di stereotipi di genere abbiamo parlato spesso nel ciclo dei post sui bias sul blog di Nexus. Essi possono essere definiti come “una serie di credenze che le persone hanno, su cosa significa essere donne o uomini”. Il loro contenuto evolve nel tempo e varia a seconda delle diverse culture. Gli stereotipi generano delle aspettative sui ruoli sociali e professionali, legate al sesso della persona. Nel corso degli anni una serie di ricerche “pop” molto divulgate lasciava intendere che questi ruoli, per ragioni biologiche fossero divisi, semplificando, in ruoli di azione per gli uomini e di cura per le donne. L’evolvere degli studi ha permesso di mettere in discussione una serie di miti e di stabilire che le similitudini tra i cervelli di uomini e donne sono molte di più delle differenze (vedere, tra in tanti, il bellissimo e rigoroso libro di Gina Rippon “Gendered Brain”). I miti, con il loro fascino semplificatorio, sono molto difficili da decostruire ed abbandonare. Come sottolinea Gina Rippon, ad esempio, se oramai nessuno potrebbe seriamente sostenere scientificamente l’inferiorità delle donne, un’altra prigione di genere diventa quella della supposta “complementarietà” tra uomini e donne e del suo elogio, anche dietro buone intenzioni di fare in modo che le caratteristiche femminili come capacità di empatia, ascolto, di entrare in relazione con gli altri possano emergere. Buone intenzioni che son comunque generatrici di stereotipi se pur positivi, ugualmente imprigionanti: la complementarietà diventa un altro modo per definire uomini e donne in modo statico, limitato, e far rientrare la complessità con tutte le sue sfaccettature nella dicotomia del paradigma “azione/cura”.

I bambini cominciano molto presto, fin dall’età di 2/3 anni, a categorizzare il mondo ed a fare inferenze sul suo funzionamento. Sul genere questo significa che molto presto cominciano ad associare azioni, attività, professioni, ruoli ad un genere piuttosto che ad un altro. I genitori, insegnanti, i libri, la televisione, i giochi video possono rinforzare queste inferenze o metterle in discussione, proporne di alternative.

L’esercizio sulla tabella ha scatenato molte risate tra le partecipanti al webinar, ma anche scambi e riflessioni. Inutile forse dirvi che per la maggior parte del gruppo i risultati sono stati abbastanza prevedibili. Navi, scavatrici, piste, camion etc. regalati a bimbi, maquillage, bambole, tegamini etc. regalati a bimbe, con qualche rara eccezione.

Questo esercizio è stato un momento allegro, non colpevolizzante, per riflettere su uno dei tanti micro comportamenti che, quando ne siamo conapevoli, sono rivelatori dei nostri modelli mentali, in questo caso riguardo al genere. Se prendiamo un tempo di respiro e di analisi, se rallentiamo, possono fornirci insights sul nostro funzionamento ed alternative possibili. Ad esempio, dopo aver fatto l’esercizio senza troppo pensare possiamo fermarci e chiederci: quali sono gli schemi che hanno guidato le mie scelte? Cosa vuol dire per me essere donna? Uomo? Cosa associo ai generi? Quali attività caratterizzano una donna e un uomo? Cosa può fare una donna? Un uomo? Cosa significa il regalo che sto facendo per questa bimba o bimbo? Quali messaggi impliciti sto trasmettendo? Quali gli effetti di questi messaggi? Sono messaggi di incoraggiamento, di apertura? Quali impatti produrranno sulle sue scelte? Cosa nutrono e cosa scoraggiano per lei o lui?

Riprendendo la citazione in apertura, se è vero che “Ogni regalo è una parte di noi”, scegliendolo per le giovani generazioni stiamo anche trasmettendo un modello, un’idea di futuro, una possibilità/impossibilità di abbandonare vecchi modelli e di lasciare spazio a qualcosa di diverso. E su questa trasmissione e le sue implicazioni possiamo scegliere di essere consapevoli delle conseguenze che produciamo.