Sarà credo capitato a ciascuno ed a ciascuna di voi di lasciarsi prendere la mano ed entrare in una discussione a sfondo politico. La crisi COVID che abbiamo collettivamente attraversato ha creato molte occasioni di polarizzazione: lockdown sì o no, vaccini sì o no, clorochina sì o no etc. L’arena nella quale molte di queste discussioni hanno avuto luogo è stata internet, i social network in particolare.
Quando si seguono i thread delle discussioni social, sembra che portando prove per l’una o per l’altra tesi le persone si radicalizzino sempre di più sulle loro posizioni, anche in presenza di elementi quali ricerche rigorose, modelli scientifici, dati statistici. Presentare queste prove sembra solo produrre ancora più irrigidimento delle parti, ed un rinforzo nelle credenze originarie, fino a quando, spesso, la discussione finisce in insulti reciproci. È la conseguenza del “backfire effect”: esattamente come avviene per il “ritorno di fiamma” dal quale prende il nome, questo effetto produce il rinforzo di una credenza, che sentiamo come collegata al nostro sistema di valori e quindi generatrice per noi di identità. A nulla vale quindi portare dati e fatti oggettivi, risultati di ricerche, teorie scientifiche, anzi. Più ci addentriamo nella discussione, più questa diventa polarizzata, più il fatto di trovare argomentazioni e tesi a sostegno rinforza l’opinione originaria. Molte di queste argomentazioni magari, all’inizio della discussione, non erano ancora state esplorate, le scopriamo appunto discutendo e poi ci confortano nel nostro arroccarsi sulla posizione che difendiamo.
L’espressione “Backfire effect” è stata inventata da Brendan Nyhan e Jason Reifler nel 2010 a spiegazione dei risultati di una ricerca sugli effetti di informazioni politiche false, diffuse apposta e del fatto che, ancora dopo anni, e malgrado smentite e diffusione di vere informazioni una parte del pubblico non riusciva a credere che non fossero vere.
Il giornalista americano David McRaney anima un sito molto interessante ed approfondito sul tema dei bias, youarenotsosmart.com oltre ad avere pubblicato diversi libri sul tema. Sul suo blog ha pubblicato una serie di podcast e di interviste nei quali i due neuroscienziati Jonas Kaplan e Sarah Gimpel raccontano la biologia del backfire effect. L’interessante scoperta avvenuta tramite IRM è che l’area coinvolta in questo effetto è l’amigdala, area che viene attivata quando siamo in presenza di minacce fisiche. Ciò che è particolarmente interessante è appunto che il cervello non differenzia la pericolosità della minaccia che viene dal doversi ricredere su alcune convinzioni, considerate determinanti per la costruzione della nostra identità, e le minacce fisiche. L’ipotesi dei neuroscienziati è che, siccome il backfire effect non ha uguale intensità su tutti i temi, ma che sembra averne in particolare sui temi politici (ad esempio presenza o meno di armi in Iraq per gli americani, o religione di Obama…), sui vaccini, sulla difesa dei propri leaders politici quando questi hanno commesso illeciti. Queste opinioni sono determinanti per l’appartenenza o meno ad un gruppo; diventiamo quindi così difensivi perché abbiamo paura di perdere il nostro legame di appartenenza a quel gruppo, e sappiamo che da un punto di vista evoluzionistico questa è una delle situazioni che il nostro cervello percepisce come “ad alto rischio di sopravvivenza”.
Le informazioni aggiuntive su questi temi inoltre non vengono assorbite a se stante, ma entrano a far parte di reti preesistenti di informazioni e cosi’ “una volta che incorpori un pezzo di informazione nella tua visione del mondo, cambiarla non è così semplice come togliere quel piccolo pezzo; è già incorporato nelle fondamenta di ciò che hai, e potrebbe essere, in alcuni casi, come se avessi costruito una casa, e forse cambiare la porta non richiede molto sforzo, ma se vuoi cambiare un muro portante che è parte della struttura della casa, devi iniziare a chiamare un architetto per pensare a come riprogettare la tua casa, e non puoi semplicemente tirare fuori il pezzo. ” (Jones & Kaplan 2013).
Per ritornare alle nostre discussioni online, quando ci rendiamo conto che per l’altro (o per noi) si tratta di questioni di questo tipo, possiamo smettere di portare dati, fatti, ricerche, teorie, modelli. Stiamo parlando un linguaggio, quello della razionalità e dell’analisi, che non è adatto a comunicare su un funzionamento molto basico che è quello dell’attacco-fuga, delle minacce alla vita, che è la caratteristica di funzionamento dell’amigdala. Così come non utili diventano i siti di debunking, paradossalmente soprattutto quando vengono tenuti da esperti in materia, che rischiano di essere considerati come delle élites dalle quali difendersi, soprattutto quando sbeffeggiano chi la pensa diversamente, cosa che serve soprattutto a rinforzare le idee di coloro che sono già convinti. Il backfire effect funziona rinforzando le opinioni di entrambe le parti che nel difendere la loro posizione hanno intanto consolidato le loro connessioni neuronali intorno ad essa. Se la Rete continuerà a svilupparsi in continuità con quanto successo fino ad ora, il futuro che ci attende potrebbe non essere roseo. Pubblicità sempre di più mirate in base ai like che abbiamo messo e generate in base a ciò che gli algoritmi hanno appreso su di noi, a come votiamo, alle credenze che abbiamo, ai nostri valori. Esisterà ancora lo spazio per dissentire, per rimettersi in discussione, per cambiare?
Possiamo liberarci dal backfire effect e rigenerare noi stessi, la nostra identità attraverso la rigenerazione delle nostre opinioni?
Ci sono alcune possibilità:
- Semplificare le spiegazioni, facendo leva sul fatto che quanto meno sforzo il cervello deve fare per comprendere qualcosa di nuovo quanto più questo avrà possibilità di essere ritenuto. Anche per questo abbiamo creato il gioco di carte INSIDIAE, sul tema dei bias inconsapevoli. Una delle nostre motivazioni è stata proprio a partire dalla constatazione che la behavioral economy è molto importante ed impattante nella vita di noi tutti e tutte ma troppo difficile da comprendere senza averla studiata a fondo. Il gioco permette di liberarsi dalle difese e rende possibile l’apprendimento, in modo facile e divertente, senza metterci in una situazione minacciosa che potrebbe scatenare la dinamica di attacco e fuga;
- Presentare le nuove informazioni in modo non minacciante. Basta tornare ai nostri famosi thread di commenti sui social per rendersi conto di come lo stile di comunicazione violento, il dileggio, la svalutazione dell’altro siano dominanti nelle discussioni. Il dialogo, a partire da semplici strumenti, partendo da una reale intenzione di comprendere, può aiutare ad aprire conversazioni veramente costruttive e rigeneratrici per tutte le parti in gioco. Di prossima pubblicazione su questo blog il nostro strumento “Parola Generativa”;
- Quando qualcosa è davvero lontano dal nostro modo di pensare piuttosto che rifiutarlo subito o compararlo con qualcosa che sappiamo già possiamo respirare e renderci disponibili ad entrare davvero in una zona di “unknown”, “sans mémoire ni désir”. Questo stato, non “naturale”, possiamo raggiungerlo a partire dalla consapevolezza sui nostri processi di pensiero e del rischio di lasciarci imprigionare dalle nostre paure.