Il contesto è una riunione internazionale e multietnica con una ventina di partecipanti di una organizzazione, con l’obiettivo  di riconnettersi al suo purpose, per poter poi impostare le attività dei prossimi mesi e di nominare la leadership adatta ad accompagnare il futuro che emerge.

La lingua ufficiale dell’incontro è il francese: si è stimato che tutti i membri del gruppo lo parlino sufficientemente bene da poter seguire senza problemi. Viene offerta una traduzione sporadica e spontanea “a bisogno” dal portoghese al francese ma non viceversa, organizzata tra i partecipanti.

La modalità d’animazione prevede che al termine delle giornate di lavoro collettivo, vengano organizzate delle sessioni serali di debriefing di un’ora, un piccolo gruppo parte del grande, chiamato “Comitato di coordinamento”. Il gruppo ha l’obiettivo di rivedere i contenuti ed i temi emersi, ma soprattutto di essere luogo di analisi delle dinamiche di grande gruppo accadute durante la giornata per collegarle  con le dinamiche del più ampio sistema, ed elaborare, per i giorni successivi, delle proposte di lavoro coerenti.

Il “Comitato di coordinamento” è composto di 4 membri fissi e due variabili,  membri del grande gruppo che si offrono di partecipare, su base volontaria, all’inizio di ogni giornata. Un componente “fisso” del Comitato, scherzando sul fatto che la sera prima durante il Comitato di coordinamento” si era consumanto molto cioccolato, e con l’intenzione di incoraggiare la venuta dei due volontari dal grande gruppo scherza  “E poi ci sarà un fattore di compensazione, consumeremo molto cioccolato”.

Uno dei membri del grande gruppo, una giovane ragazza proveniente da un paese africano, Louisa, dopo questa battuta appare evidentemente perturbata e resta in silenzio. Si trovano infine i due volontari e la giornata prosegue esplorando il tema “Quale leadership è necessaria per guidare i prossimi anni?”. Improvvisamente Louisa sbotta, in portoghese “non mi sono offerta di far parte del Comitato, stamattina perché ho capito che i membri volontari sarebbero stati trattati come il cioccolato e mangiati dai membri del gruppo come ricompensa”.

Parecchi anni fa, durante un lavoro allora pioniere, sull’emergere di modelli di leadership alternativi (allora era chiamato “Emergenza della leadership femminile” un titolo che oggi non userei più) che realizzavamo in una grande banca, avevamo utilizzato il termine “alterfagia” per descrivere una delle resistenze collettive al cambiamento, manifestate durante il progetto.

L’Alterfagia descrive il tentativo di trasformare l’altro manipolandolo, trasformandolo in un oggetto, assimilandolo a sé attraverso il fatto di “mangiarlo”, negandone in questo modo la differenza.  Per la banca per la quale lavoravamo l’alterfagia si manifestava in diversi tentativi di assimilare le donne dentro il modello di leadership basato su stereotipi maschili che era al tempo dominante.

Nel caso del “cioccolato” un membro dello staff fa una battuta, non avente nessuna intenzione di esculdere o di insultare. Questa battuta pero’ viene fraintesa in un modo particolare, tra i tanti fraintendimenti possibili, che tocca una dinamica organizzativa presente da anni nell’organizzazione, che riguarda la leadership ed il sentimento, da parte delle persone in Africa in particolare, che ci sia una testa pensante europea (e bianca) ed un braccio operativo nel sud del mondo (nero) che subisce un processo di colonizzazione. Questa dinamica fa si’ che le persone in Africa non siano mai prese in considerazione nella rosa dei candidati a guidare il gruppo.

Il “fraintendimento del cioccolato”  ha permesso al gruppo di esplicitare qualcosa di molto difficile da dire, in particolare il sentimento di inferiorità provato da una parte dei suoi membri, la percezione di esclusione da certi ruoli, e questo non in base a competenze più o meno possedute ma in base a caratteristiche personali, quali il colore della pelle ed la provenienza geografica.

Ha permesso anche alla parte europea, identificata come “colonizzatrice” del gruppo, di riflettere su quanto (inconsciamente) agito, riflessione che, a causa di un sentimento strisciante di vergogna che è emerso durante gli scambi generati dall’analisi della metafora, che non era ancora stata fatta fino in fondo.

Lo spazio che si è aperto quando abbiamo offerto la possibilità di fermarsi ad esplorare meglio quanto successo ha permesso un dialogo profondo, autentico, commovente su quanto sperimentato per anni da una parte del gruppo.

Dopo una prima reazione quasi violenta, minimizzatrice il gruppo si è aperto infatti alla possibilità di arricchire la metafora del “cioccolato”, di fare altre associazioni oltre quelle che erano state offerte dallo staff per andare più lontano.

Si è aperto un momento di profonda esplorazione dei modelli mentali, della loro funzione, dei loro limiti e delle conseguenze che questi possono avere sulle persone e sulle performance, che ha permesso una sana rigenerazione, in vista delle nomine del nuovo gruppo di leadership.