La gazza nel folklore collettivo, è accusata di essere attratta dagli oggetti luccicanti, fino ad arrivare a rubarli. Ma la gazza non è la sola ad essere inesorabilmente attratta da ciò che brilla, anche gli esseri umani subiscono questa attrazione fatale. Una delle spiegazioni possibili potrebbe essere ricercata nel bisogno ancestrale di avere acqua disponibile, che avrebbe creato questa routine di associazione positiva tra ciò che brilla e gli specchi d’acqua necessari al mantenimento della vita.
La metafora dell’oggetto luccicante è quindi usata per indicare l’attrazione che possiamo inconsapevolmente provare per tutto ciò che è o sembra nuovo, a discapito di ciò che ai nostri occhi risulta vecchio, già (anche se illusoriamente) conosciuto, provato, usato e che siamo pronti ad abbandonare per qualcosa di più luccicante. Questo bias si chiama appunto “bias dell’oggetto luccicante”. Il bias, come per gli altri che abbiamo visto fino ad ora, opera sia a livello individuale che collettivo. Una spiegazione complementare a quella degli specchi d’acqua per questo bias è il cosiddetto “effetto memoria” che dirige il nostro interesse verso ciò che è più recente e che può essere richiamato più facilmente in memoria, unito alla tendenza a preferire ricompense immediate piuttosto che future.
La nostra sopravvivenza è stata garantita anche dalla nostra capacità di andare alla ricerca di gratificazioni e di novità. Il nostro cervello funziona su due circuiti, uno emotivo e uno razionale. Rispetto al sistema più “emotivo” recenti studi mostrano come lo striato ventrale abbia un ruolo centrale, in collegamento col sistema limbico, con l’amigdala, con l’ippocampo. La ricompensa attiva questo sistema per primo. La risposta automatica fa sì che l’oggetto nuovo, il nuovo progetto, il nuovo prodotto, la nuova materia da studiare, attirino la nostra attenzione, alla ricerca di una gratificazione immediata, anche se irrazionale. É il tipo di risposta che, tra gli altri, Dan Ariely ed il suo gruppo di ricerca hanno studiato, che genera preferenze irrazionali, tipo “meglio 20 euro ora che 25 tra una settimana”, “meglio mezza tavoletta di cioccolato subito che una intera domani”. Ma anche, “meglio passare una mezz’ora sui social network piuttosto che finire il progetto che ormai va avanti da un mese”, “meglio una nuova relazione piuttosto che risolvere i problemi della vecchia”, “meglio un nuovo lavoro piuttosto che approfondire quello attuale” etc a livello individuale. E che, a livello collettivo, spinge ad abbandonare velocemente mercati non ancora completamente esplorati, prodotti, gruppi di progetto, teorie organizzative, strade di sviluppo organizzativo anche, paradossalmente, quando funzionano molto bene, per puro bisogno di andare verso oggetti che luccicano di più. L’oggetto luccicante funziona anche per i sistemi politici e viene usato in particolare durante le campagne elettorali per distrarre gli elettori da questioni critiche che potrebbero mettere in cattiva luce i candidati.
Nelle culture organizzative “vittime” del bias dell’oggetto brillante, l’innovazione rischia di diventare ideologica, slegata dal purpose, senza una vera prospettiva strategica e di lungo periodo.
L’oggetto luccicante non ci fa correre verso l’innovazione profonda, ma diventa, quando siamo presi nella trappola del nuovo a tutti i costi, una risposta automatica a qualunque bisogno interno, generatrice di ricompense a breve termine.
Dan Ariely dimostra come, quando riusciamo ad essere consapevoli ed attivare anche il sistema di decisione a lungo termine, la corteccia prefrontale e differire la ricompensa, conquistiamo più libertà di decisione e riusciamo a dare prospettiva alle nostre azioni riuscendo ad aprire uno spazio nel presente di proiezione della decisione che permette di attendere la ricompensa futura.
Cosa fare quindi, per non essere vittime del bias dell’oggetto brillante?
A livello individuale, di gruppo, di collettivo e di sistema politico una possibilità per uscire dai nostri modelli mentali è quella di pensare i propri processi decisionali dentro processi ecosistemici.
La teoria U di Otto Scharmer, per esempio, ci invita ad una un’esplorazione profonda, ad uscire dal “downloading” della realtà che ci rinchiude dentro risposte passate e automatiche. Nel caso dell’oggetto luccicante, paradossalmente, andando verso il nuovo in realtà si resta dentro uno schema stimolo risposta, dentro processi di procrastinazione, dentro l’universo dei Social Network che rischia, offrendoci in continuazione nuovi oggetti luccicanti, di guidare la nostra attenzione togliendoci una parte del nostro libero arbitrio. Il processo di sensing della teoria U invece ci invita a renderci conto degli schemi che guidano i comportamenti, ad esplorarne alternative, a liberarci dalle difese e dalla paura di esplorare il nostro purpose individuale e collettivo e di connetterci con la nostra intenzione profonda. É attraverso questa connessione che il processo di innovazione diventa ecosistemico, veramente “disruptive” ed in linea con i bisogni del contesto.
Allora, dove si inserisce la rigenerazione in tutto questo? Beh, la Rigenerazione include e implica l’innovazione, ma non ne fa il suo Purpose, nel modo dogmatico nel quale le culture degli “oggetti luccicanti” hanno cercato di fare negli ultimi due decenni. Piuttosto, la Rigenerazione è un ritorno alle nostre radici più profonde, alla nostra Intenzione primaria – alla ricerca di direzione da essa. L’innovazione diventa un mezzo per un fine: un nuovo modo di esprimere il Purpose, che evolve perché il contesto si è evoluto. Con un po’ di esagerazione, potremmo anche dire che la
Rigenerazione non consiste nel cercare l’oggetto luccicante là fuori – si tratta piuttosto di far nascere la perla che è dentro di noi.