Stiamo leggendo un libro che non ci piace per nulla. Però lo abbiamo pagato 20 euro quindi decidiamo di finirlo, malgrado Pennac ed il terzo della sua lista dei diritti del lettore che recita “Non è necessario finire un libro”. Il nostro lavoro non ci soddisfa, da qualche anno, l’energia è calata e non troviamo più molto senso, vorremmo fare altro, magari ricominciare in un altro settore, in un altro ruolo, o semplicemente darci alla cucina. Abbiamo un’offerta per una posizione inferiore alla nostra per un lavoro che ci piacerebbe molto. Ma abbiamo speso anni a formarci, a prendere lauree e Master per fare esattamente questo, non si può buttare via tutto quello che abbiamo imparato, meglio restare. Il progetto cominciato due anni fa in azienda, che sembrava promettere risultati eccezionali, non sta dando gli esiti sperati, malgrado tutte le azioni correttive che abbiamo cercato di intraprendere, malgrado l’aumento del budget dedicato, malgrado il fatto che i migliori ingegneri e ingegnere dell’azienda ci stiano lavorando…non possiamo lasciarlo ora, abbiamo investito già troppo, prima o poi darà i suoi frutti.

Forse vi siete riconosciuti e riconosciute nei tre esempi sopra, o magari vi sono venute in mente altre situazioni nelle quali continuare ha prevalso sul cambiare, fermarsi, fare altro. Ciò che hanno in comune è che, nonostante tutti i segnali che ci dicono che la decisione che abbiamo preso va rivista è come se ci fosse qualcosa che agisce a livello individuale e collettivo: non si riesce a cambiarla. A volte si tratta giusto di smettere di fare ciò che stiamo facendo, altre, come nel caso del cambiamento di lavoro, di scegliere tra due alternative, di cui una, quella che non scegliamo, appare, se analizzata razionalmente, migliore. La radice di questo blocco è una tendenza inconsapevole evoluzionistica. Messi di fronte alla possibilità di interrompere un investimento a vuoto e quindi ad un guadagno futuro di risorse da investire altrove, tendiamo invece ad evitare le perdite, ancorandoci al passato: è il bias (fallacia) dei costi irrecuperabili, nella letteratura anglo sassone “sunk cost” o Concorde effect, dall’esempio eclatante di testardaggine anglo-francese nel perseguire un investimento fallimentare.

Questo bias non è va confuso con la perseveranza, la capacità di attendere i risultati di progetti, azioni, attività dall’esito incerto ma con possibile lieto fine. Il bias dei costi irrecuperabili riguarda quelle situazioni nelle quali non c’è razionalmente possibilità di successo, tutti i dati ce lo confermano  e nonostante questo restiamo tenacemente attaccati. Chiaramente non si tratta solo di perdita di un investimento economico, i costi sono anche emotivi e più alto è il coinvolgimento che sentiamo più sarà difficile lasciare andare l’oggetto che ha catturato le nostre energie. Quando però la perseveranza diventa un ideale, un diktat, un assoluto,  quando viene decontestualizzata e promossa come caratteristica sempre e solo positiva, usando un paradigma maschile di lettura del successo,  la pressione a continuare anche ciò che non ha più senso può diventare talmente forte da far perdere di vista la razionalità del persistere.

I ricercatori dell’Università del Minnesota hanno scoperto che questa tendenza non è propria solo degli esseri umani, chiarendo anche perché è cosi’ difficile abbandonare. In un articolo pubblicato nel 2018 sulla rivista Science vengono esposti i risultati di un esperimento, che stabiliscono che anche topi e ratti sono soggetti a questa fallacia, aprendo, secondo i ricercatori, molte nuove strade sullo studio, ad esempio, di cosa succede al cervello nel caso delle dipendenze da droghe o altro. I “sunk cost” ci accompagnano nelle torri di vetro e acciaio nelle quali viviamo la nostra vita organizzativa, un altro dei legami prossimi della specie umana con il resto del mondo animale. Inoltre, in un’altra interessante ricerca dell’American Psychological Association, il bias dei costi irrecuperabili è stato studiato in individui di culture diverse. La ricerca dimostra che è un bias trasversale che tocca individui di culture anche molto lontane.

Il bias dei costi irrecuperabili non si limita a danneggiare le scelte razionali di individui, gruppi, organizzazioni. Esso agisce, e produce danni ben maggiori, anche a livello di macrosistemi economici e politici, rendendo difficile la lotta contro il cambiamento climatico, soprattutto in quei settori, quali ad esempio l’energia, o le costruzioni,  che sono caratterizzati da investimenti di lunga durata, iniziati in anni di supposta/immaginata continuità di basso costo delle energie fossili, di non regolazione delle emissioni, di consumo senza preoccupazione per il futuro del pianeta. E’ in questi settori, nei quali gli investimenti sono recuperabili solo dopo decenni di utilizzo, che diventa più difficile smettere di guardare al passato ed integrare nella decisione elementi razionali quali ad esempio l’accordo oramai generalizzato della comunità scientifica sugli impatti climatici del business as usual.

Cosa possiamo fare, a livello individuale, organizzativo, di società, per non cadere nel tranello dei costi irrecuperabili?

Abbiamo visto più sopra che il bias dei sunk cost trova terreno fertile in una lettura implicita del mondo nella quale il fatto di lasciare andare ciò che non riesce, l’abbandono di un progetto, di un lavoro, di un sistema di produzione, viene letta come una sconfitta, una vergogna, una debolezza, qualcosa da rifuggire. Questo tipo di lettura del mondo non contempla il valore del riconoscimento dell’errore, della vulnerabilità e rischia quindi di ancorarci al passato, ad un’illusione di coerenza, di equazione tra impegno fornito e risultato sperato, impedendo cosi’ di vedere che perseverare sarà solo fonte di altre scelte irrazionali, altri costi, altre perdite.  In Nexus siamo particolarmente sensibili a questo tipo di bias perché è uno di quelli che rendono impossibile la rigenerazione, impedendo a ciò che deve morire di essere lasciato andare ed all’energia di poter andare là dove c’è la vita, dove il futuro ci chiede di essere.

A livello individuale e collettivo, è importante invece rallentare e portare ciò che è inconsapevole ad essere esplicitato. Quali sono i costi della continuità, quali gli impatti negativi sul futuro? L’abbandono di un passato nel quale si è investito molto, parte da un processo  di rivisitazione, reinterpretazione, che permetta di vedere i modelli mentali che influenzano l’azione per poterli trasformare. E’ un processo analogo a quello della Natura, che porta alla rigenerazione dell’intenzione per allinearla alle evoluzioni del contesto.